Alberto Ongaro Il respiro della laguna PIEMME
2016 pp.203
Da diversi anni Venezia fa figure
indegne del suo rango nei romanzi di pronta lettura. Raramente sopravvive con
tutti gli onori, come in Stabat Mater di Tiziano Scarpa, o in Venezia è un pesce, unica guida seria della città. Io però, per
amore di Venezia, ci provo tutte le
volte, abbandonando regolarmente entro le prime venti pagine, soprattutto
quando è chiaro il tentativo di mascherare la povertà di idee e di scrittura
dietro il fascino della laguna e annessi.
Non è certo il caso di questo
romanzo di Alberto Ongaro, un noir ambientato negli anni Settanta in cui è la
città stessa, attraverso Il respiro della
laguna, ad anticipare i fatti. La storia è piuttosto complessa, si muove
tra la Venezia dei ricchi di tradizione e quella fatiscente della Baia del Re,
un rione di malavita autoctona insaccato
nella coda di Cannaregio. Sono proprio le storie legate a questo stralcio di
città a tenere viva la lettura, oltre che la curiosità per una vicenda gialla
ricostruita secondo lo stile degli anni Settanta, ovvero senza autopsie, DNA,
GPS, RIS, Scientifica e altre risorse che tengono in piedi i brutti gialli
contemporanei. Ongaro segue il filo delle persone e dei rimandi con schietta
logica, senza mai abbandonare la narrazione dello spirito della città.
Personalmente ho da tempo la
certezza che la laguna sia viva e respiri. Non solo, entra dalle finestre come
un blob nero e denso quando si ascoltano certe musiche di Claudio Monteverdi, Antonio
Vivaldi e Luigi Nono, massimi maestri del risveglio del Golem che vive nei
canali e nei loro fondali. Averne trovato conferma nel romanzo di un veneziano
vero mi conforta.