Giuseppe Antonelli Comunque anche Leopardi diceva le
parolacce Mondadori 2014 pp. 177
Un libro intelligente
sullo stato della lingua italiana. Libera subito il campo da tutte le polemiche
sull’uso delle parole straniere, spiegandoci che le lingue sono vive e si
muovono ora come nei secoli passati. Piange solo un po’ sul congiuntivo, mentre
rogna parecchio, a ragione, sui tic
linguistici storicizzati in un utile diagramma a partire dal 1940. Nella
fattispecie si prendono in esame le oscillazioni di: quant’altro, geniale, mitico, esatto, nella misura in cui. Ma altri e numerosi
vengono citati, per chi ama trovare conferme ai propri fastidi. Molto carino il
compianto sull’estinzione del punto e virgola, che invece, a pensarci bene, può
venire utile in più di un’occasione. Un piccolo saggio molto garbato, che si
può senz’altro leggere anche nelle scuole, senza annoiare.
Stefano Petrocchi La polveriera Mondadori
2014
pp. 194
Speravo di più, ma
neanche tanto perché l’autore lavora al Premio Strega. Contavo di più sui
retroscena, sugli intrighi, sulle scenate; qualcosa c’è, ma direi che è una
versione soft core della polveriera
promessa dal titolo. Al centro della storia il cosiddetto Capo (Anna Maria
Rimoaldi, 1924-2007), amica di Maria Bellonci e sua erede alla direzione del
premio a partire dal 1986. Il Capo si
guadagnò il soprannome di Zarina, per dire quanto poteva essere aperta al
dialogo e alle decisioni condivise. Non è stata fortunatissima nelle scelte, i
suoi Strega sono, a mio parere, di serie
A2/B1 rispetto a quelli dei primi due decenni, come si può facilmente osservare
consultando l’elenco completo di premiati e selezionati presente alla fine del
volume. Personalmente ho letto interamente tredici romanzi tra quelli premiati
dall’anno della fondazione al 1969, e soltanto due dal 1970 ai giorni nostri (Il nome della rosa e Stabat Mater). Molti li ho iniziati
senza riuscire a procedere, alcuni li ho solo consultati, altri li ho
volutamente evitati. Ma non faccio testo, ci mancherebbe altro. Forse si
scriveva meglio negli anni cinquanta/sessanta, ma è tutto da dimostrare che gli
anni successivi siano stati così poveri come si può dedurre dai palmarès degli ultimi quarant’anni.