giovedì 18 dicembre 2014

Amiche mie - Longbourn House - Chi è felice non si muove



Silvia Ballestra   Amiche mie

Mondadori, 2014, pp. 272

Letto fino a pag. 44



Le prime quarantaquattro pagine sono un verbale, un po’ più esteso del normale, dell’attività di un Consiglio Genitori di una scuola elementare del centro di Milano, con particolare riferimento alla Commissione Mensa. Non c’è un personaggio, non c’è uno sviluppo, dilaga la petulanza meticolosa. Mi sono fermata al punto in cui si descrive, con profusione di particolari,  la sala civica di Zona Sei in cui si terrà l’incontro tra genitori, insegnanti e amministratori locali.  

N.B.:  sulla copertina c’è scritto romanzo, cronaca quotidiana un po’ sciatta avrebbe reso meglio l’idea.





Jo Baker  Longbourn House

Einaudi, 2014, pp. 378


Letto fino a pag. 88


Il romanzo segue due filoni al momento remunerativi: l’indotto di Jane Austin e il mondo dei nobili inglesi visto  dalla parte della servitù. In copertina, una sguattera con grembiule  da lavoro, indumento così di moda che una catena giapponese si è messa a produrlo  e a venderlo con qualche riscontro. Baker riscrive Orgoglio e pregiudizio dalla parte delle cucine, così non ha neppure il problema di inventarsi una trama che stia in piedi. Per motivare il fatto che ho mollato a pag. 88 mi tocca ricorrere alle ciambelle non sempre riuscite, metafora frusta ma efficace soprattutto se si decide di guardare il mondo dalla parte delle cuoche, benché solo in terza/quarta battuta dopo un grande film come Gosford Park e il suo clone tv, Downton Abbey. Per non parlare di Quel che resta del giorno (Ishiguro, 1989)
buon romanzo da cui imparammo tutto sul mestiere di maggiordomo e, in ordine  gerarchico, di governante, nonché sul metodo più efficace per lucidare i rebbi delle forchette d’argento.



Giulia Villoresi  Chi è felice non si muove

Feltrinelli, 2014, pp. 328


Categoria: presunto  diario con biografie


Giulia Villoresi scrive con la saggezza di un grande vecchio anche se ha appena trent’anni. Ha il dono di catturare il lettore attraverso una scrittura ricca ed esatta. Qui immagina una situazione che molti forse hanno vagheggiato, ma pochi hanno vissuto veramente: rifugiarsi in un’isola del Mediterraneo lontana da tutti e poco abitata per lavorare ad un’opera immane, quella che deve dare  senso a una vita. Il racconto delle difficoltà, della lontananza dagli affetti, degli incontri sull’isola, della mancanza di strumenti di lavoro che diventa il filo di connessione con la casa che si è deciso di abbandonare scorre con grazia per buona parte del libro. La storia, in sé inconsistente, è intervallata da piccole biografie di grandi personaggi scelti secondo il criterio della poesia che hanno portato nel mondo, perfette al punto che si vorrebbe leggere una intera raccolta di brevi vite raccontate da Giulia Villoresi. Purtroppo la storia, e con essa  l’evoluzione dei personaggi, si perde in un finale confuso, in cui compaiono  ufo, droghe e la dose di noia che questi soggetti portano con sé. Ma siamo comunque molto avanti, e in fondo i finali non sono mai semplici.