giovedì 1 dicembre 2016

La nobile arte del bluff



Colson Whitehead La nobile arte del bluff Einaudi 2016  pp.198


Un libro interessante a sprazzi. Ad esempio quando descrive l’ambiente dei casinò di Atlantic City e di Las Vegas. Grazioso quando racconta gli sforzi e gli studi necessari per diventare un decente giocatore di Texas Hold’em, il poker “scientifico” che si gioca alle World Series of Poker di Las Vegas. Il Texas Hold’em è un gioco noioso per il 95% del tempo, e il restante 5% (quando hai le carte buone) non è sufficiente a bilanciare le ore e ore di passività cui ti costringe.  E’ un gioco di carte di serie B, un po’ meglio del burraco, molto peggio del tressette e neanche da paragonare al bridge, gioco in cui anche le carte più infime hanno immenso valore strategico, e in cui la fortuna non conta. Whitehead è simpatico, e pregevole quando si sofferma sui rituali che precedono il momento di sedersi  al tavolo in un  campionato importante. Ma anche quando osserva i compagni di tavolo, come li valuta, li teme, li sottostima o sovrastima, descrive i loro completi tamarri, gli occhiali scuri, le mani. Teme la sporcizia delle fiches, chissà quanti vanno in bagno senza poi lavarsi le mani e le insozzano.  Tutti pensieri tesi a riempire il tempo tra un fold e l’altro, e a calcolare per quanti colpi puoi ancora restare seduto al tavolo prima di tentare il tuo all in. Una barba, per colpa del gioco, ovviamente. Il libro al contrario è divertente e abbastanza intelligente da scoraggiare per sempre eventuali aspiranti giocatori.