mercoledì 7 gennaio 2015

I libri della COOP



I libri della COOP

Nella mia città, Forlì, si possono portare i libri vecchi, o già letti, nei vari punti vendita della COOP.
Io ne porto parecchi, soprattutto libri nuovi che si sono rivelati acquisti sbagliati, regali malriusciti, doppioni, gialli anni sessanta, libri per bambini senza i maghi e le streghe, ma anche libri divertenti, letti e prestati,  ma non abbastanza buoni da essere conservati in libreria.
Una volta arrivati alla COOP, una responsabile li prende e li marca a fuoco con una fascetta rossa autoadesiva con su scritto: raccoglimi, portami via con la spesa e riportami qui per una altro lettore.
La fascetta è deturpante, e viene applicata in modo indiscriminato sia sugli Harmony biascicati e raddoppiati di volume a forza di essere letti che su edizioni molto preziose. Qualche mese fa sono riuscita a salvare dalla fascetta una sesta edizione (Feltrinelli, 1962) del Ponte della Ghisolfa di Giovanni Testori,  libro  che adesso  tengo in casa. Ogni volta che lo guardo mi ricordo di quando (1970) l’ho preso in prestito la prima volta dalla biblioteca comunale di Piazzale Accursio a Milano, molto vicina al ponte del titolo, e  anche dell’importanza di  Giovanni Testori per la cultura milanese degli anni sessanta/settanta.






Un altro volume prezioso, però deturpato in modo irrimediabile dalla fascetta rossa, è una seconda edizione de Il Colombre  e altri cinquanta racconti di Dino Buzzati, Mondadori, Opere di Dino Buzzati, VI, 1966. Il peggio è che la fascetta assassina ha rovinato in modo irrimediabile (non si stacca neppure con il vapore) la copertina, che rappresenta un disegno dello stesso Buzzati. Lo sto tenendo da un bel po’, non ho il coraggio di riportarlo fuori al freddo, anche perché ogni tanto leggo un racconto a caso, ed è sempre una grande gioia. Dallo stato di conservazione è un libro senz’altro letto dall’inizio alla fine, probabilmente da più di una persona.







Il Club degli Editori è molto presente alla COOP. Idea editoriale benemerita, il Club degli Editori ci ha fatto leggere, a basso prezzo ma rilegati, dozzine di libri di successo, dagli anni Sessanta in poi. Certo si preferiva un bell’Einaudi con sovracopertina bianco latte e rilegatura grigia, ma i prezzi concorrenziali e la vendita per posta rendevano i CDE molto popolari e diffusi. Qualche tempo fa ho pescato Il porto di Toledo di Anna Maria Ortese. Non l’ho ancora letto, per cui  riposa su uno scaffale/limbo in attesa del suo momento. Il volume è intonso.




Ogni tanto la COOP resuscita un desaparecido, qualche settimana fa è comparso un fantasma del passato: Marulanda  La dimora di campagna, di José Donoso, Feltrinelli, 1985, I Narratori, prima edizione. Donoso venne fuori insieme ad altri romanzieri sudamericani sull’onda di Cent’anni di solitudine. Ai tempi si stampava di tutto, e anche di molto buono, purché provenisse dal sur. Il volume è intonso, il che non è mai incoraggiante. Personalmente  ho un rapporto conflittuale con gli scrittori sudamericani, non credo che lo leggerò, ma vorrei dargli una degna collocazione, anche perché la fascetta sembra staccabile senza danni, sebbene con molto vapore.



Le mie estati sarebbero state molto più pesanti senza i Pocket Longanesi, collana anni sessanta mai abbastanza lodata. Penso che in tutte le case italiane siano passati almeno una volta I peccati di Peyton Place e  La luna e sei soldi. Io ricordo anche Gli amanti di Evan Hunter, che si rivelò essere la stessa macchina da libri  dell’ 87° distretto sotto il nome di Ed McBain. Poi La Parmigiana di Bruna Piatti, pubblicato sull’onda del successo del  film di Antonio Pietrangeli (o viceversa?), e molti libri di Giovanni Comisso, autore che ho molto seguito negli anni Settanta.I pocket che capitano sugli scaffali della COOP sono sfiniti dalle ripetute letture. Troppe volte ho trovato Peyton Place e l’ho sempre lasciato lì, è giusto che venga letto il più possibile. La settimana scorsa ho raccattato Diario d’amore di Maud Hutchins (1889-1991), raccolto e non ancora letto,  ma lo farò senz’altro perché ho un culto per le scrittrici americane nate tra la fine dell’ottocento e i primi del novecento. 



Ho beccato anche La vita perduta di Elio Chinol, che per me doveva essere solo un prof d’inglese nominato spesso da mia sorella quando studiava lingue alla Bocconi. Invece ha scritto anche questo romanzo su Treviso, presentato dai pocket come Un Amarcord veneto, ai tempi (1974) in cui il film di Fellini era uscito da poco. 



Altra collana benemerita, uscita negli anni Sessanta praticamente assieme agli Oscar Mondadori, è I Garzanti per Tutti, con la sua evoluzione successiva, I Garzanti.   Il primo Garzanti per Tutti mi risulta essere La paga del soldato di William Faulkner, degno antagonista del primo Oscar Mondadori,  Addio alle armi di Ernest Hemingway.


 




L’anno è il 1965, e da allora comprare libri diventa un affare molto semplice: si trovano ovunque, anche in edicola, e costano poco. Ho sempre preferito I Garzanti, che facevano un po’ la figura dei Rolling Stones rispetto ai Beatles. Sarà perchè il mio primo Garzanti economico è stato Il cardinale di Henry Morton Robinson, mappazzone cattoamericano di sei/settecento pagine scritte in piccolo, divorato in pochi pomeriggi perché ai tempi facevo le medie e alla sera crollavo tramortita dal sonno poco dopo le nove. 



Per trovare un Oscar di pari impatto devo andare avanti di un paio anni fino a La buona terra di Pearl S. Buck, frequente sugli scaffali COOP, sempre in cattive condizioni perché letto e riletto. 



Ho un ricordo molto chiaro di mia cugina che si addormentava al sole con una copia de Il sole nel ventre  (Jean Hougron, 1952) appoggiato sulla pancia. Picture in picture. Lei era molto presa da questo romanzo, io l’ho trovato qualche settimana fa alla COOP ma, ora come allora,  non mi fa sangue e l’ho riportato indietro senza leggerlo.