domenica 31 agosto 2014

Addio Monti - Il bacio dell’assunta - Capitale Pepys Road - Il cappello del maresciallo - Le cinque regole del corteggiamento - Morte a Breslavia - Orfani di vento - Piangi pure - Questa non è una canzone d’amore - Ragazze mancine - Il trio dell’arciduca - Il ponte delle sirenette - Esche vive - Fino in fondo - Ogni giorno, ogni ora - Non esistono cose lontane - La mia Parigi, i miei ricordi - Il cancello del crepuscolo - Le antiche vie Un elogio del camminare - Condominio R39 - Una commedia italiana - Capelli blu - Cosa sai della notte - Dove sei stato?



Abito attaccata alla biblioteca, di cui questo cortile è la sala di lettura estiva, e ogni settimana mi porto a casa una montagna di libri. In quarant’anni di biblio ne ho viste di tutti i colori, ho letto di tutto e di più,dal pulp più corrivo ai capolavori massimi. Molti li ho dimenticati, quindi ho pensato d'ora in poi di schedarli, nel bene e nel male.





Agosto 2014


Al mare per due settimane in un’isola in cui non succede niente, ho letto circa un libro al giorno, di carta, ovviamente.  



Michele Masneri, Addio Monti
Minimum Fax, 2014, pp. 167

Categoria: cotto e mangiato

   

Una summa del radical-chic romano. Un po’ ci si perde nei personaggi, sembra che  Masneri  si trovi meglio negli oggetti, nei prodotti, nei posti, nelle manie. E’ anche un festival del name-dropping, per fortuna noncurante, non colpevolizzante come in Arbasino anni sessanta/settanta, quando nominava centinaia di persone e opere di cui a fatica rintracciavi un 10% nella memoria. Poi è stato bello, nel corso degli anni, scoprire quanti di quei nomi ed opere erano bufale, ma intanto avevi macinato un bel po’ di frustrazione. Masneri  droppa parecchio, ma anche in modo sommesso e casalingo. Ad esempio cita a ripetizione i  biscotti Gentilini, che io compro a quintali.  Questo libro mi è sembrato un po’ il contraltare romano di Vanagloria di Hans Tuzzi, altro romanzo cotto e mangiato di ambientazione milanese, fascia medio-alta, sempre radical-chic ma più cupo. I due libri presentano comunque una galleria di stronzi da fare concorrenza House of Cards, anche se più limitati e di corte prospettive, e questo li rende molto divertenti.

Hans Tuzzi, Vanagloria, Bollati Boringhieri, 2012, pp. 451
Romanzo consistente. Milano e provincia, ai giorni nostri. Middle class e intellettuali, non si salva nessuno. 




Giovanni Cocco, Il bacio dell’assunta
Feltrinelli, 2014, pp. 253

Categoria: provincia minima


Letto tutto, ma con fatica, in mancanza d’altro, sul traghetto con gli altri libri stivati in macchina.

Sembra che si stia instaurando un filoncino di storie, scritte da trentenni, che si svolgono in paesi microscopici della provincia italiana. Magari non proprio gialli veri e propri, di cui siamo saturi, ma vicende leggermente misteriose, che permettano di descrivere ambienti gradevoli, bar di paese con i loro vecchietti e gazzette e tresette, poliziotti e carabinieri con  le loro caserme e i loro appuntati, cosa si mangia, cosa si beve, il parroco e l’ortolano, la maestra e il medico condotto e se potessero ci metterebbero ancora l’ostetrica con la valigetta e il notaio con le ultime volontà. Qui siamo sul lago di Como, lato Clooney, tempi nostri ma sembra di essere nel primo dopoguerra.
Vitali, greve e pedante, l’ho sempre schifato, ma di Piero Chiara ho letto anche le liste della spesa e mi domando: anche se cambi lago, cos’hai da dire di nuovo, di meglio, di diverso rispetto al grande maestro del romanzo lacustre, di fronte al quale mi inginocchio col pensiero?
Ah, Giovanni Cocco ha 38 anni ma sembra che ne abbia 80 e una carriera alle spalle di maestra elementare in pluriclasse.



John Lanchester, Capitale Pepys Road
Mondadori, 2013, pp. 551

Categoria: per fortuna che è lungo


Come questo me ne capita uno ogni dieci anni. Lo metto assieme a Il gruppo di Mary McCarthy,  Possessione, di Antonia Byatt, La donna che rubava i mariti, di Margareth Atwood, La donna della domenica, di Fruttero&Lucentini. E’ un libro che ti svolta la giornata, che pensi “ok, adesso faccio questo e quest’altro, ma poi leggo Pepys Road”. E’ un libro senza momenti morti, senza incongruenze, senza passaggi illogici. Tutti i personaggi son ben definiti. Non succede niente di irritante, di incongruo, che offenda il buon senso o l’intelligenza di chi legge. Non ci sono eccessi, truculenze, cadute splatter, tanto ci pensa la realtà a superare la fantasia. Io sono convinta che questa compiutezza, che è più che altro assenza di errori, dipenda dal fatto che Lanchester si è occupato tutta la vita di libri e alla fine ne ha scritto uno in cui “non ha messo” tutto quello che dà fastidio a un lettore attrezzato: sciatteria del linguaggio, personaggi confusi, sviluppi narrativi esagerati o incongrui, salti logici, fretta e disordine, girare intorno al nulla,  creare aspettative per poi disattenderle. Alla fine funziona tutto: ambienti, personaggi e storie. La scansione temporale in stagioni aiuta a mettere ordine nelle numerose vicende, di cui non sfugge nulla.  



Marco Ghizzoni, Il cappello del maresciallo
Guanda, 2014, pp. 256

Categoria: provincia minima

Ghizzoni ha 31 anni e contribuisce, per Guanda, al filone provincia minima, però con schizzi demenziali. Anche qui carabinieri terònes con la loro caserma, cimitero, becchino, bar, municipio e liutaio perché siamo appena fuori Cremona, ma tanto è morto da subito e se faceva l’ortolano era uguale. Presenti anche vedova troia e zitella bipolare, ora scema ora astuta. 
Letto tutto anche perché scritto grande.
Molte province mancano all’appello, almeno presso gli editori di serie A1/A2: Gorizia, Sondrio, Pordenone, Forlì/Cesena, Macerata, Ascoli Piceno, Teramo, Enna, Caltanissetta, Crotone, Mantova, Terni, Chieti, Vibo Valentia, Campobasso,  Cosenza, Rovigo, Ancona, Frosinone, Benevento e altre ancora. Orizzonti infiniti di bar sport, maestre, veterinari, farmacisti, allenatori di sport minori, curati con le loro perpetue, pensionati ora acuti come Zenone di Elea, ora completamente rincoglioniti ma anche in quest’ultimo caso motori indispensabili della vicenda. L’importante è che ogni tanto si mangi e si beva e ci si tuffi nel colore locale. Un po’ di dialetto va bene, meglio se non serve il glossario.



Massimo Lolli, Le cinque regole del corteggiamento
Mondadori, 2012, pp. 187

Categoria: cotto e mangiato


A gloria delle donne:  Maria Cira, coprotagonista femminile del romanzo. La storia è un po’ così, ma Maria Cira e il suo coté napoletano, tutto genio e contraddizioni, tengono in piedi il libro alla grande. Difficile trovare un altro personaggio così ben costruito nei libri di adesso. L’altra donna, Bertilla, la sua amica vicentina, non è così smagliante, ma è credibile come sioretta veneta in libera uscita alle terme e in balera. Gli uomini sono un po’ più smorti, per fortuna perché continuo a leggere storie in cui le donne sono stronze, o cretine, o troie, o accessorie. Maria Cira, ti amo, e mi meraviglio che  Massimo Lolli sia un uomo, uno che le donne le osserva e le capisce, si direbbe.



Marek Krajewski, Morte a Breslavia
Einaudi Stile Libero, 2007, pp. 288

Categoria: giallo d’atmosfera ma anche sanguinolento



E’ una storiaccia di nazisti, riti esoterici, perversioni e agnizioni. L’ho letto tutto perché mi piacciono la Slesia, la Polonia, la Germania e tutto quel va e vieni di confini, basta che sia Mitteleuropa. Non è proprio perfetto, ma funziona. Il commissario Eberhard Mock sarebbe il nostro eroe, una sentina di vizi dai più semplici (mangiare come un porco e bere fin quasi a morire) ai più articolati (una volta alla  settimana va in un bordello di qualità a giocare a scacchi con due puttane abbastanza competitive in tutti sensi, anche a scacchi). Wroclaw/Breslavia, in mano a Krajewski, diventa una città molto affascinante e viene voglia di andarci. Alcune scene repellenti le avrei anche saltate, ma già che c’ero me le sono sorbite. Alla fine viene voglia di leggere anche le altre storie di Mock, in tempi magri come questi è già qualcosa.



Marisa Andalò, Orfani di vento
Robin, I luoghi del delitto, 2014, pp. 360

Categoria: giallo di provincia

Abbandonato dopo pagina 1 e la seguente mezza pagina 2




Ogni tanto mi faccio prendere la mano e provo a leggere un libretto della serie I luoghi del delitto. Ne ho provati almeno una decina, andati tutti molto male, con un’unica eccezione. Sono libri raffazzonati, pieni di aggettivi e  avverbi, con frasi infinite e diversioni che devastano il  filo conduttore. Questo mi ha sfrantecato la pazienza dopo una settantina di righe, e mi sa che porrà fine alle mie avventure con la Robin. A meno che non tirino fuori un altro tipo simpatico come Umberto Gandini, responsabile logistico dei delitti di Bolzano, che nel 2009 è uscito con Le indagine abusive di Marlòve, investigatore precario, veramente gradevole.



Lidia Ravera, Piangi pure
Bompiani, 2013, pp. 366

Categoria: storronata geriatrica

Abbandonato a pag. 360



Ogni vent’anni provo a leggere un libro di Lidia Ravera, per vedere se migliora dopo Porci con le ali, non si sa mai.  Per cui questo è il terzo che leggo. Quello degli anni ottanta/novanta non me lo ricordo, era irrilevante.
Stavolta l’eroina ha settantanove anni e si innamora di uno che ne ha settantasei, in più magagnato. L’amore tra anziani deve avere un suo mercato, cercano di fomentarlo anche al cinema.  Non è che l’amore sia proprio il mio argomento preferito, figurarsi con dei vecchi taroccati o nel corpo o nella mente, che oltretutto annuiscono almeno una volta per pagina. Comunque arrivai fino a pagina 360 perché sull’isola ormai ero a corto di libri. Le ultime sei pagine le saltai, la lagna dei due vecchi che si incistano sui colli della Val d’Orcia mi aveva sopraffatto. Non saprò mai come va a finire, e dubito che ci sia qualcuno in grado di raccontarmelo.


Rocco e Antonia, Porci con le ali, Savelli, 1976.

Letto in cucina della mia  casa da studente mentre cucinavo all’ultimo momento  la carbonara o l’amatriciana per sei/sette persone, con il mestolo in una mano e una sigaretta nell’altra.


 

Alessandro Robecchi, Questa non è una canzone d’amore
Sellerio, 2014, pp. 432

Categoria: per fortuna che è lunghetto



Robecchi sa che dentro Bob Dylan c’è tutto, e così all’inizio di ogni blocco narrativo ci mette un po’ di versi presi dalle sue canzoni, soprattutto tra le meno conosciute. Mettere la musica nei romanzi è molto difficile, anche se lo fanno quasi tutti, forse allo scopo di arricchire il personaggio sulla base di quello che ascolta, o per creare atmosfere, o per allungare un po’ la storia senza fare troppa fatica. Più spesso solo per farci conoscere i gusti  musicali di chi scrive. Mi ricordo, in un romanzo di Vikram Seth,  un dialogo ridicolo tra due musicisti teso a dimostrare la superiorità di Franz Schubert rispetto a Robert Schumann. Come fossimo al bar  a dimostrare che Pelè è meglio di Maradona, o viceversa. Invece Robecchi lo sa fare con intelligenza e senza appesantire il racconto.  Inoltre c’è sempre bisogno di qualcuno che ci ricordi quanto è grande Bob Dylan.
La storia, gialla, è molto carina, piena di pochi personaggi buoni e una stragrande maggioranza di cattivi. Ma i cattivi sono i preferiti. Succede di tutto ma non si perde il filo. Ci sono alcune descrizioni di quartieri defilati di Milano di grande acume, anche questo non è facile, e molti personaggi indovinati: tra tutti la ragazza precaria e geniale che rappresenta le migliaia di cose eccezionali che sanno fare  quelli che hanno meno di trent’anni.
Bonus track: Robecchi riesce a sfuggire a tutti i luoghi comuni linguistici. Per esempio nel suo romanzo nessuno annuisce (ma nella vita vera, chi usa il verbo annuire?), e nessuno si concede qualcosa (un caffè, una birra, un giro col cane, una sigaretta). Meno male.


Vikram Seth, Una musica costante, TEA, 2006, pp.462.

Romanzo pomposo, in più sulla musica, che raccontata fa fatica a imporsi. Mi ricordo però che ai tempi era ben documentato sul mercato internazionale degli strumenti ad arco.




Stefania Bertola, Ragazze mancine
Einaudi, 2013, pp. 277

Categoria: romanzo rosa per ragazze cotto e mangiato


Trovare Bertola in biblioteca è difficilissimo perché va molto. Per forza, fa parte dei cotti e mangiati femminili universali. Bertola riscrive sempre lo stesso romanzo che a tredici anni ci passavamo al volo tra vicine di casa,  di oratorio o di scuola. Ai tempi si parlava del Diario di Giulietta di Giana Anguissola, o di Penny Parrish di Janet Lambert,  storie di stupidotte alle quali andavano tutte dritte perché poi trovavano l’amore gnocco e intelligente se erano già ricche, mentre se erano povere trovavano l’amore circonfuso di soldi. Bertola è troppo simpatica ed è un modello rifinito e  accessoriato del rosa classico. E’  leggera e intelligente, racconta  storie  impresentabili cui tu vuoi credere con tutta te stessa, e ha il dono raro della scrittura fluida ed elegante.
Questa delle ragazze mancine è una storia che sta in piedi anche meno delle altre, si basa addirittura sul medaglione (cfr. Biblioteca dei miei ragazzi Salani, luogo  archetipico di tutti i futuri medaglioni), due ragazze senza una lira ma con un cane e una bambina, e una bella serie di stronzi che saranno puniti. E tanto basta.



Giana Anguissola, Il Diario di Giulietta

Romanzo per piccole galline (1954). Letto a quattordici anni ai tempi barbari dell’accumulazione primaria. Due giorni dopo attaccai, con la stessa mutria, Memorie di una ragazza perbene (1960) di Simone de Beauvoir, che mi sembrò una versione più rifinita e secchiona di Giulietta. Allora era così, quando si leggeva tutto quello che si trovava di scritto, oggi Grand Hotel e domani La Certosa di Parma.




Janet Lambert, Penny Parrish, Edizioni Paoline.

Romanzo per piccole galline americane (1941). Penny Parrish era una cui andavano tutte bene. Parlava con qualcuno, sorrideva e otteneva tutto quello che voleva. Definirlo romanzo consolatorio è essere pessimisti, avrebbe infuso fiducia nella vita anche a un naufrago. L’ho letto sei o sette o volte, le ultime due o tre in mancanza d’altro. Comunque sia Giulietta (ricca sfondata) che Simone (quella che avrei voluto essere) che Penny (superintelligente e superaffascinante) con me non avevano nulla da spartire, ma mi hanno fatto buona compagnia.




Hans Tuzzi, Il trio dell’arciduca
Bollati Boringhieri, 2014, pp. 156

Categoria: spie?

Letto fino a pag. 124


Mi dispiace perché propugno Hans Tuzzi fin dai tempi. Ho letto tutto quello che ha scritto come Hans Tuzzi, che è il suo pseudonimo, e mi è piaciuto tutto.  Da questo libro mi aspettavo molto, a partire dal titolo, per vedere come faceva entrare nella storia il trio di Beethoven, e se almeno lui riusciva a superare lo scoglio della musica nei romanzi.  Poi l’ambientazione, Adriatico del nordest, Sarajevo, Belgrado, Istanbul, la vecchia linea dell’Orient Express, tutti posti rovinati che stanno in piedi da soli, a trattarli bene. Invece ho dovuto cedere a pag. 124 perché non capivo più dov’ero e con chi. Credevo di essere a Belgrado ma ho mi sono resa conto che ero a Istanbul dal nome degli alberghi, e sorvolo sui personaggi, non capivo più se erano vivi o morti. E Trieste liquidata via con quel po’ di  food&beverage del rebechìn, della porzìna e del vino del Carso. Next.



Giuseppe Pederiali, Il ponte delle sirenette
Garzanti, 2011, pp. 384

Categoria: romanzo di città


Per me, che sono milanese, un bel libro. Ci sono le stelline, i martinitt, le sorelle Ghisini ovvero le sirenette del ponte, il poeta Delio Tessa, i bombardamenti, un po’ di ligéra, Musocco, il manicomio di Mombello, i casini dei ricchi e quelli dei poveri. La storia di una ex-stellina che diventa amica di Delio Tessa è una buona traccia per ricostruire cinquant’anni di vita milanese, dagli anni venti agli anni sessanta del Santa Tecla e del Piccolo Teatro Grassi/Strehler.






Luglio 2014



Fabio Genovesi, Esche vive
Mondadori, 2011, pp. 388

Categoria: provincia minima

Letto fino a pag. 170

L’autore aveva trentasette anni al momento della pubblicazione, entra quindi di diritto nella categoria “provincia minima”, ovvero giovani che scrivono storie da pensionati. Questa era particolarmente lunga, 388 pagine scritte in piccolo. Giunta a pag. 170 mi sono guardata attorno: avevo per le mani un diciottenne monco e orfano di madre che mette in piedi una storia con una di trentadue anni che lavora all’ Informagiovani, frequentato però esclusivamente da omarelli. Egli vive fuori casa perché uno di quindici anni, promessa del ciclismo, ha occupato la sua cameretta. Il suo babbo è l’allenatore di quello di quindici anni.  In un paesino toscano in provincia di Pisa. Di contorno c’è la band metal di cui il monco è il cantante  e numerosi vecchietti che leggono il giornale locale a sbafo. L’avrei finito forse se fossi stata di Muglione, il  teatro degli eventi. O una parente dell’autore, che però non è malaccio, se solo si trovasse altre storie.



Louise Doughty,  Fino in fondo
Bollati Boringhieri, 2014, pp. 392

Categoria: romanzo

Di questi tempi è un bel romanzo.  C’è una storia che funziona con  una protagonista non proprio simpatica, ma alla quale ci si affeziona perché è una donna intelligente che finisce nei guai fino al collo, ma con cognizione, non da perfetta cretina, come al solito.
Il romanzo, un thriller giudiziario, ha i suoi problemi. Ad esempio l’autrice tende a raccontare numerose volte lo stesso evento, sempre allo stesso modo. Se ti dice la prima volta che due hanno fatto l’amore su un materasso con il piumino arrotolato in fondo ai piedi puoi star certo che, ogni volta che riprenderà l’episodio, ripeterà che il piumino era arrotolato in fondo ai piedi. E’ un po’ come quei fini narratori che ti raccontano dieci volte lo stesso aneddoto e tu non sai come avvertirli che lo sai già. E’ anche il tipo che ti dice sempre come sono vestiti i personaggi, anche i più insignificanti, scarpe e calze comprese. Anche quello che mangiano e che bevono. A forza di ripetizioni e di capi d’abbigliamento fai presto ad arrivare a 392 pagine scritte in piccolo. Personalmente ne avrei tagliate un terzo. Alcuni passaggi sono veramente notevoli, ad esempio quello che descrive con  chiarezza come reagisce il nostro cervello di fronte al pericolo.
Comunque è un libro che si inizia e si finisce. Non proprio cotto e mangiato ma quasi.



Nataša Dragnić, Ogni giorno, ogni ora
Feltrinelli, 2011, pp. 220

Categoria: storronata fin da piccola

Letto fino a pag. 26


Si sa che  qualsiasi racconto che cominci con la frase “fin da piccolo/a” è morto sul nascere. Figurarsi un romanzo che descrive una storia d’amore che inizia all’asilo: lei due anni e lui cinque. Una asfissia. Peccato perché la storia, a leggerla tutta, si sarebbe svolta a Makarska nei primi anni sessanta,  bella ambientazione adriatica. Però, per il poco che ho letto, avrebbe anche potuto svolgersi a Gatteo Mare (the dark side of the sea)  e sarebbe stato lo stesso. Per dire come Dragnić crea un’atmosfera. Ho interrotto la lettura dopo la seguente frase: La faccia di Dora è vicinissima, i suoi occhi neri sono grossi come quei due piatti di pizza che ha visto qualche tempo prima al ristorante Plaža. La forza della metafora.



Elisabetta Rasy, Non esistono cose lontane
Mondadori, 2014, pp. 252 (playlist compresa)

Categoria: romanzo

Letto di fila fino a pag. 128, poi a smozzichi, fino a pag. 196, poi basta.



Volevo smettere dopo una decina di pagine, ma una digressione sui fotoromanzi, molto bella, mi ha tenuta viva. Inoltre non mi dispiacevano  i protagonisti: Olga, una maestra elementare ed Ettore, un musicologo, amore diseguale con lei che ci rimette, ovviamente. Il problema è insorto quando, su questa storia principale, già un po’ faticosa, l’autrice ha inserito un mattone di sottostoria basata su:  soldato americano e ragazza locale si amano/ma lui arrivederci e grazie. Ho zompato qua e là per un altro centinaio di pagine, più che altro per vedere se la protagonista  riusciva a finire di leggere La duchessa di Langeais.   Faceva un po’ fatica, dice che la storia non le piaceva. Poi mi sono bloccata ad un funerale clandestino dove una  ragazza giovane, personaggio di contorno, cantava Lascia ch’io pianga.  Lì ho deciso che poteva bastare. La  playlist prodotta alla fine contiene pezzi molto belli, e che stanno abbastanza bene nel contesto. Mi sembra che a Rasy sia riuscita bene la cosa più difficile, metterci la musica, poi però mi è caduta sui fondamentali.



Honoré de Balzac, La duchessa di Langeais.   Caposaldo. Capolavoro ineguagliato del sottogenere amori differiti, per i quali ho un culto.
 


Edgar Morin, La mia Parigi, i miei ricordi
Raffaello Cortina Editore, 2013, pp. 241

Categoria: memorie

Letto fino a pag. 170


L’ho scelto perché mi piacciono le città e i libri che le descrivono. Qui si tratta di Parigi, che appare per meno del 5% della storia in quanto se stessa,   per il resto  è una  pura  appendice dell’ego dell’autore. C’è una discreta descrizione del quartiere di Mènilmontant, in cui Morin è nato, ed una dedicata al vecchio Marais e alle Halles, prima e dopo lo sventramento.
Il restante 95% è la storia della sua vita e delle sue donne, nonché un vortice di nomi di persone che si vedono, si incontrano e in quattro e quattr’otto si inventano un centro, una associazione, un organismo, gli mettono una sigla e ci campano.  Génial, come dicono loro, i francesi.  Di una noia mortale, come dico io, che abbandono a pag. 170. E pensare che avevo avuto il coraggio di continuare anche dopo la seguente frase di pag. 140, a proposito del suo incontro con una sociologa torinese di nome Magda:  Ci diamo appuntamento a Lione, dove la conduco alla confluenza del Rodano e della Saona, ed è là che noi confluimmo in corpo e spirito.



Jeanette Winterson, Il cancello del crepuscolo
Mondadori, 2014, pp. 150

Categoria: romanzo storico

Letto fino a pag.34


I romanzi storici scritti ai giorni nostri sono un mattone. Ho provato a portarmi a casa questo perché tratta della caccia alle streghe, argomento per me toccante, soprattutto dopo la lettura, più di trent’anni fa, di un bel romanzo di Erica Jong, Fanny.
Ho smesso a pagina 34, sopraffatta dalle decine di nomi e cognomi cui non corrispondevano dei personaggi, dalla localizzazione imprecisa, dalla solita violenza splatter puzzona e repellente in ouverture, fango/sangue/sperma/sudiciume/brandelli di carne, dalla fatica di tornare sempre indietro a vedere chi era XY, se c’era già stato o se era nuovo. Soprattutto, giunta a pagina 25, mi sembrava di aver letto già un centinaio di pagine: per dire quanto scorre il testo.
Inizia in un pantano e lì ci resta, almeno per quel che mi riguarda.



Erica Jong, Fanny, 1980  Romanzo di compagnia, amico nei lunghi viaggi.
 


Robert Macfarlane, Le antiche vie Un elogio del camminare
Einaudi, 2013, pp. 408

Categoria: manuale di geografia concreta



Per chi ama la descrizione del territorio è un libro molto importante.  Introduce un discorso sul metodo dell’osservazione e della definizione di un luogo principalmente attraverso le sue caratteristiche materiali: natura del suolo, copertura vegetale, animali ma anche per mezzo delle tracce, visibili e invisibili,  lasciate da chi ha percorso i sentieri negli anni. Macfarlane predilige  aree poco umanizzate, per cui i grandi repertori di elementi costitutivi del territorio che produce sono prevalentemente naturali, ma il metodo è così pragmatico ed efficace che potrebbe essere applicato anche ad un centro urbano. Propone nuove definizioni del concetto di paesaggio, opposte a quelle consuete. E’ opinione comune  infatti che siano l’uomo e gli elementi naturali a modellare il paesaggio. Macfarlane aggiunge  che è anche il paesaggio a formare chi lo attraversa e chi lo vive: nessuno resta uguale a se stesso dopo aver camminato per giorni in una regione che prima gli era sconosciuta.
Macfarlane ha il dono della scrittura chiara ed essenziale.  Non rifarei tutte le vie che ha attraversato, spesso in condizioni estreme. Ma la sua descrizione della Broomway, una via effimera che si trova sotto la marea a nord dell’estuario del Tamigi, mi ha lasciato un desiderio pauroso di andarci.



Fabio Deotto, Condominio R39
Einaudi Stile Libero Big, 2014, pp. 444

Categoria: giallo (lo deduco dal fatto che c’è un commissario)

Letto fino a pag. 134


C’è la preparazione di un tè che inizia verso pag. 80 e a pag. 120 apprendo che forse qualcuno ha  messo su l’acqua.  Nel mezzo ci sono altri fatti perché l’idea è quella di sviluppare quattro storie intrecciate in un condominio di quattro alloggi, cui si aggiunge la quinta  del commissario Pallino. Siccome è difficile e Deotto non è in prima istanza Georges Perec (gestione condominio), e in seconda neppure David Foster Wallace (gestione tè eterno), va a finire che per portare avanti le cinque baracche l’autore è costretto ogni volta a dirci dove siamo e con chi siamo. Ho resistito fino alla fase presentazione e inquadramento dei personaggi poi,  sugli inizi degli sviluppi, ho ceduto: nessuna credibilità né verosimile né romanzesca, per cui, dal mio punto di vista, nessun interesse.



David Foster Wallace, Infinite Jest, 1996.  Suprema prova di perizia dello scrivere e repertorio di virtuosismo che, in quanto tale, desta la mia fredda ammirazione e la mia totale indifferenza.



George Perec, La vita istruzioni per l’uso, 1978.  Mi inginocchio di fronte alla sublime, apparente inutilità di questa costruzione della mente umana.
 





Piersandro Pallavicini, Una commedia 

italiana 
Feltrinelli, 2014, pp. 309


Categoria: cotto e mangiato


 


E’ il terzo cotto e mangiato di fila di Pallavicini, metà prof di chimica all’università di Pavia e metà romanziere (riuscito).
Questo è un romanzo abbastanza complesso perché allinea diverse epoche (gli anni sessanta/settanta/ottanta) e diversi prototipi sociali del periodo: l’industrialotto lombardo u  ganassa,  il primogenito maschio viziato e inetto, la sorella pratica e studiosa che lo surclassa in tutto, l'amica fedele che conta più della  famiglia. C’è tanta musica molto pertinente: il libro è anche un inno al rock progressivo, i cui esponenti maggiori, medi, minori e infimi accompagnano tutto il racconto. Un esperto di progressive qui si diverte. E gode quando, in due o tre pagine ben riuscite, si demolisce il mito dei Deep Purple, precipui miracolati del rock grazie ai quindici secondi iniziali di Smoke on the Water. Il romanzo è  anche una summa commossa e appassionata della commedia all’italiana  di serie A2/B1. Nonostante tutto questo guardarsi indietro, per altro molto ben documentato, la storia funziona anche per chi, per età o diversa appartenenza sociale o geografica, non colga tutte le allusioni.







Valerio Nardoni, Capelli blu 

edizioni e/o, 2012, pp. 131 (comprese tre pagine di ringraziamenti finali)





Abbandonato a pag. 21



Non l’avrei mai raccolto dal tavolo delle novità della biblio se non fosse stato per la seguente quarta di copertina: Immaginate Paolo Conte che incontra i fratelli Cohen in una città italiana che pare la Brooklyn di Smoke.

Urka, tutti insieme i santini dell’estetica di quelli “… te l'ho detto giro, vedo ggènte, mi muovo, conosco, faccio delle cose. Alla lettura riscontro una certa difficoltà con i tempi verbali, ora al passato prossimo, ora al passato remoto anche all'interno della stessa azione. In più appare presto una donna che è per terra tra due macchine con degli stivali bianchi. Mi fermo a pensare da quanto tempo non vedo in giro una con degli stivali bianchi, a parte majorette e cheer-leader, e comincio a vacillare. Quando poi il protagonista la raccoglie moribonda dalla strada (e chiamare il 118?) per portarsela a casa e lì constatarne il decesso  decido che ne ho abbastanza.

Ho scoperto che, in linea generale,   la quantità di ringraziamenti finali è inversamente proporzionale alla qualità dello scritto.





Grazia Verasani, Cosa sai della notte 
Feltrinelli, 2012, pp. 223



Categoria: giallo Bologna



Seguo l’investigatrice di Bologna Giorgia Cantini dall’inizio, e mi è  persino quasi piaciuta la versione telefilm, dove la Cantini/Baraldi cantava spesso. Qui non canta più, e ha un po’ modificato il suo habitat. Ha una nuova assistente che si chiama Genzianella, personaggio a zero credibilità ma molto divertente. Ha perso il vicino cuoco dilettante ed ex-pornostar e ama ancora l’odioso Commissario Bruni, che la maltratta in tutti i modi. La storia riguarda l’assassinio di un ragazzo gay, con tutti i prevedibili annessi e connessi. Che sono appunto prevedibili, ma ho finito la storia ugualmente perché sono un po’ affezionata alla Cantini. Nell’inevitabile excursus sulla cultura gay si cita un testo fondamentale del 1977, pubblicato prima da Einaudi e poi da Feltrinelli, Elementi di critica omosessuale di Mario Mieli, che qui però diventa Mauro Mieli, una specie di simbiosi tra un direttore della Repubblica e un altro del Corriere della Sera. Per piacere,  provvedete ad una correzione, sempre che seguano ristampe.






Joseph O’ Connor, Dove sei stato? 
Guanda, 2014, pp. 312

Categoria: racconti

Letto fino a pag. 166

Come antologia della sfiga all’irlandese può andare. Scritto con cura, i personaggi sono ben delineati, gli ambienti un po’ meno, i dialoghi credibili, c’è molta attenzione alla situazione economica e sociale dei vari periodi descritti. Il problema è che alla sesta storia consecutiva imperniata sulle disgrazie non se ne può più. Non è che se uno scrive di disgrazie fa più bella figura. Mi sembra poi che il mondo irlandese non comprenda solo il pianto, anzi, mi vengono in mente un bel po’ di situazioni comiche se penso all’Irlanda. Forse ho sbagliato a fermarmi a pag. 166, magari se andavo avanti trovavo la parte buffa. Comunque a quel punto ero sfinita da tutti questi dolori, benché altrui, e anche un po’  annoiata dall’umore tetro. Alla prossima.


Jonathan Coe, Expo 58 
Feltrinelli, 2013, pp. 280

Categoria: romanzo

Letto fino a pag. 103

Non è che mi trovi sempre bene con Coe. Sono molto affezionata al suo primo libro, La famiglia Winshaw (1995), e per questo ogni tanto ne provo qualcun altro, senza però rivivere la passione della prima volta. Questo promette molto, soprattutto per un paio di dialoghi molto brillanti nelle prime pagine. Poi la storia, di spie, con al centro un buon ragazzo solo un po’ più accorto di Forrest Gump, comincia ad appesantirsi di situazioni e personaggi molto artificiali, e perde di interesse.