Abito
attaccata alla biblioteca, di cui questo cortile è la sala di lettura estiva, e ogni settimana mi porto a casa una montagna di
libri. In quarant’anni di biblio ne ho viste di tutti i colori, ho letto di
tutto e di più,dal pulp più corrivo ai capolavori massimi. Molti li ho dimenticati, quindi ho pensato d'ora in poi di schedarli, nel bene e nel male.
Agosto 2014
Al
mare per due settimane in un’isola in cui non succede niente, ho letto circa un
libro al giorno, di carta, ovviamente.
Michele Masneri, Addio
Monti
Minimum
Fax, 2014, pp. 167
Categoria:
cotto e mangiato
Una
summa del radical-chic romano. Un po’ ci si perde nei personaggi, sembra
che Masneri si trovi meglio negli oggetti, nei prodotti,
nei posti, nelle manie. E’ anche un festival del name-dropping, per fortuna noncurante, non colpevolizzante come in
Arbasino anni sessanta/settanta, quando nominava centinaia di persone e opere
di cui a fatica rintracciavi un 10% nella memoria. Poi è stato bello, nel corso
degli anni, scoprire quanti di quei nomi ed opere erano bufale, ma intanto
avevi macinato un bel po’ di frustrazione. Masneri droppa parecchio, ma anche in modo sommesso e
casalingo. Ad esempio cita a ripetizione i
biscotti Gentilini, che io compro a quintali. Questo libro mi è sembrato un po’ il
contraltare romano di Vanagloria di
Hans Tuzzi, altro romanzo cotto e mangiato di ambientazione milanese, fascia
medio-alta, sempre radical-chic ma più cupo. I due libri presentano comunque
una galleria di stronzi da fare concorrenza House
of Cards, anche se più limitati e di corte prospettive, e questo li rende
molto divertenti.
Hans Tuzzi, Vanagloria, Bollati Boringhieri, 2012, pp. 451
Romanzo consistente. Milano e
provincia, ai giorni nostri. Middle class e intellettuali, non si salva
nessuno.
Giovanni Cocco, Il bacio
dell’assunta
Feltrinelli, 2014, pp. 253
Categoria:
provincia minima
Letto
tutto, ma con fatica, in mancanza d’altro, sul traghetto con gli altri libri
stivati in macchina.
Sembra
che si stia instaurando un filoncino di storie, scritte da trentenni, che si
svolgono in paesi microscopici della provincia italiana. Magari non proprio
gialli veri e propri, di cui siamo saturi, ma vicende leggermente misteriose,
che permettano di descrivere ambienti gradevoli, bar di paese con i loro
vecchietti e gazzette e tresette, poliziotti e carabinieri con le loro caserme e i loro appuntati, cosa si
mangia, cosa si beve, il parroco e l’ortolano, la maestra e il medico condotto
e se potessero ci metterebbero ancora l’ostetrica con la valigetta e il notaio
con le ultime volontà. Qui siamo sul lago di Como, lato Clooney, tempi nostri
ma sembra di essere nel primo dopoguerra.
Vitali, greve e pedante, l’ho sempre schifato, ma di Piero Chiara ho
letto anche le liste della spesa e mi domando: anche se cambi lago, cos’hai da
dire di nuovo, di meglio, di diverso rispetto al grande maestro del romanzo
lacustre, di fronte al quale mi inginocchio col pensiero?
Ah, Giovanni Cocco ha 38 anni ma sembra che ne
abbia 80 e una carriera alle spalle di maestra elementare in pluriclasse.
John Lanchester, Capitale
Pepys Road
Mondadori, 2013, pp. 551
Categoria:
per fortuna che è lungo
Come
questo me ne capita uno ogni dieci anni. Lo metto assieme a Il gruppo di Mary McCarthy, Possessione,
di Antonia Byatt, La donna che rubava i
mariti, di Margareth Atwood, La donna
della domenica, di Fruttero&Lucentini. E’ un libro che ti svolta la
giornata, che pensi “ok, adesso faccio questo e quest’altro, ma poi leggo Pepys Road”. E’ un libro senza momenti
morti, senza incongruenze, senza passaggi illogici. Tutti i personaggi son ben
definiti. Non succede niente di irritante, di incongruo, che offenda il buon
senso o l’intelligenza di chi legge. Non ci sono eccessi, truculenze, cadute
splatter, tanto ci pensa la realtà a superare la fantasia. Io sono convinta che
questa compiutezza, che è più che altro assenza di errori, dipenda dal fatto
che Lanchester si è occupato tutta la vita di libri e alla fine ne ha scritto
uno in cui “non ha messo” tutto quello che dà fastidio a un lettore attrezzato:
sciatteria del linguaggio, personaggi confusi, sviluppi narrativi esagerati o
incongrui, salti logici, fretta e disordine, girare intorno al nulla, creare aspettative per poi disattenderle.
Alla fine funziona tutto: ambienti, personaggi e storie. La scansione temporale
in stagioni aiuta a mettere ordine nelle numerose vicende, di cui non sfugge
nulla.
Marco Ghizzoni, Il
cappello del maresciallo
Guanda,
2014, pp. 256
Categoria:
provincia minima
Ghizzoni
ha 31 anni e contribuisce, per Guanda, al filone provincia minima, però con
schizzi demenziali. Anche qui carabinieri terònes con la loro caserma,
cimitero, becchino, bar, municipio e liutaio perché siamo appena fuori Cremona,
ma tanto è morto da subito e se faceva l’ortolano era uguale. Presenti anche
vedova troia e zitella bipolare, ora scema ora astuta.
Letto tutto anche perché scritto grande.
Letto tutto anche perché scritto grande.
Molte
province mancano all’appello, almeno presso gli editori di serie A1/A2:
Gorizia, Sondrio, Pordenone, Forlì/Cesena, Macerata, Ascoli Piceno, Teramo, Enna, Caltanissetta,
Crotone, Mantova, Terni, Chieti, Vibo Valentia, Campobasso, Cosenza, Rovigo, Ancona, Frosinone, Benevento
e altre ancora. Orizzonti infiniti di bar sport, maestre, veterinari,
farmacisti, allenatori di sport minori, curati con le loro perpetue, pensionati
ora acuti come Zenone di Elea, ora completamente rincoglioniti ma anche in
quest’ultimo caso motori indispensabili della vicenda. L’importante è che ogni
tanto si mangi e si beva e ci si tuffi nel colore locale. Un po’ di dialetto va
bene, meglio se non serve il glossario.
Massimo Lolli, Le cinque
regole del corteggiamento
Mondadori,
2012, pp. 187
Categoria:
cotto e mangiato
A
gloria delle donne: Maria Cira,
coprotagonista femminile del romanzo. La storia è un po’ così, ma Maria Cira e
il suo coté napoletano, tutto genio e
contraddizioni, tengono in piedi il libro alla grande. Difficile trovare un
altro personaggio così ben costruito nei libri di adesso. L’altra donna,
Bertilla, la sua amica vicentina, non è così smagliante, ma è credibile come sioretta
veneta in libera uscita alle terme e in balera. Gli uomini sono un po’ più smorti, per fortuna perché
continuo a leggere storie in cui le donne sono stronze, o cretine, o troie, o
accessorie. Maria Cira, ti amo, e mi meraviglio che Massimo Lolli sia un uomo, uno che le donne
le osserva e le capisce, si direbbe.
Marek Krajewski, Morte a
Breslavia
Einaudi
Stile Libero, 2007, pp. 288
Categoria:
giallo d’atmosfera ma anche sanguinolento
Marisa Andalò, Orfani di
vento
Robin,
I luoghi del delitto, 2014, pp. 360
Categoria:
giallo di provincia
Abbandonato
dopo pagina 1 e la seguente mezza pagina 2
Ogni tanto mi faccio prendere la mano e provo a leggere un libretto della serie I luoghi del delitto. Ne ho provati almeno una decina, andati tutti molto male, con un’unica eccezione. Sono libri raffazzonati, pieni di aggettivi e avverbi, con frasi infinite e diversioni che devastano il filo conduttore. Questo mi ha sfrantecato la pazienza dopo una settantina di righe, e mi sa che porrà fine alle mie avventure con la Robin. A meno che non tirino fuori un altro tipo simpatico come Umberto Gandini, responsabile logistico dei delitti di Bolzano, che nel 2009 è uscito con Le indagine abusive di Marlòve, investigatore precario, veramente gradevole.
Lidia Ravera, Piangi pure
Bompiani,
2013, pp. 366
Categoria:
storronata geriatrica
Abbandonato
a pag. 360
Stavolta
l’eroina ha settantanove anni e si innamora di uno che ne ha settantasei, in
più magagnato. L’amore tra anziani deve avere un suo mercato, cercano di
fomentarlo anche al cinema. Non è che
l’amore sia proprio il mio argomento preferito, figurarsi con dei vecchi
taroccati o nel corpo o nella mente, che oltretutto annuiscono almeno una volta
per pagina. Comunque arrivai fino a pagina 360 perché sull’isola ormai ero a
corto di libri. Le ultime sei pagine le saltai, la lagna dei due vecchi che si
incistano sui colli della Val d’Orcia mi aveva sopraffatto. Non saprò mai come
va a finire, e dubito che ci sia qualcuno in grado di raccontarmelo.
Rocco e Antonia, Porci con le ali,
Savelli, 1976.
Letto in cucina della mia casa da studente mentre cucinavo all’ultimo
momento la carbonara o l’amatriciana per
sei/sette persone, con il mestolo in una mano e una sigaretta nell’altra.
Alessandro Robecchi, Questa
non è una canzone d’amore
Sellerio,
2014, pp. 432
Categoria:
per fortuna che è lunghetto
La storia, gialla, è molto carina, piena di pochi personaggi buoni e una stragrande maggioranza di cattivi. Ma i cattivi sono i preferiti. Succede di tutto ma non si perde il filo. Ci sono alcune descrizioni di quartieri defilati di Milano di grande acume, anche questo non è facile, e molti personaggi indovinati: tra tutti la ragazza precaria e geniale che rappresenta le migliaia di cose eccezionali che sanno fare quelli che hanno meno di trent’anni.
Bonus track: Robecchi riesce a sfuggire
a tutti i luoghi comuni linguistici. Per esempio nel suo romanzo nessuno
annuisce (ma nella vita vera, chi usa il verbo annuire?), e nessuno si concede
qualcosa (un caffè, una birra, un giro col cane, una sigaretta). Meno male.
Vikram Seth, Una musica costante, TEA,
2006, pp.462.
Romanzo pomposo, in più sulla musica, che
raccontata fa fatica a imporsi. Mi ricordo però che ai tempi era ben
documentato sul mercato internazionale degli strumenti ad arco.
Stefania Bertola, Ragazze
mancine
Einaudi,
2013, pp. 277
Categoria:
romanzo rosa per ragazze cotto e mangiato
Trovare
Bertola in biblioteca è difficilissimo perché va molto. Per forza, fa parte dei
cotti e mangiati femminili universali. Bertola riscrive sempre lo stesso
romanzo che a tredici anni ci passavamo al volo tra vicine di casa, di oratorio o di scuola. Ai tempi si parlava
del Diario di Giulietta di Giana
Anguissola, o di Penny Parrish di
Janet Lambert, storie di stupidotte alle
quali andavano tutte dritte perché poi trovavano l’amore gnocco e intelligente
se erano già ricche, mentre se erano povere trovavano l’amore circonfuso di
soldi. Bertola è troppo simpatica ed è un modello rifinito e accessoriato del rosa classico. E’ leggera e intelligente, racconta storie
impresentabili cui tu vuoi credere con tutta te stessa, e ha il dono
raro della scrittura fluida ed elegante.
Questa
delle ragazze mancine è una storia che sta in piedi anche meno delle altre, si
basa addirittura sul medaglione (cfr. Biblioteca
dei miei ragazzi Salani, luogo
archetipico di tutti i futuri medaglioni), due ragazze senza una lira ma
con un cane e una bambina, e una bella serie di stronzi che saranno puniti. E
tanto basta.
Giana Anguissola, Il Diario di Giulietta
Romanzo per piccole galline (1954). Letto a
quattordici anni ai tempi barbari dell’accumulazione primaria. Due giorni dopo
attaccai, con la stessa mutria, Memorie di una ragazza perbene (1960) di Simone
de Beauvoir, che mi sembrò una versione più rifinita e secchiona di Giulietta.
Allora era così, quando si leggeva tutto quello che si trovava di scritto, oggi
Grand Hotel e domani La Certosa di Parma.
Janet Lambert, Penny Parrish, Edizioni
Paoline.
Romanzo per piccole galline americane
(1941). Penny Parrish era una cui andavano tutte bene. Parlava con qualcuno,
sorrideva e otteneva tutto quello che voleva. Definirlo romanzo consolatorio è
essere pessimisti, avrebbe infuso fiducia nella vita anche a un naufrago. L’ho
letto sei o sette o volte, le ultime due o tre in mancanza d’altro. Comunque
sia Giulietta (ricca sfondata) che Simone (quella che avrei voluto essere) che Penny (superintelligente e superaffascinante) con me non avevano
nulla da spartire, ma mi hanno fatto buona compagnia.
Hans Tuzzi, Il trio
dell’arciduca
Bollati
Boringhieri, 2014, pp. 156
Categoria:
spie?
Letto
fino a pag. 124
Mi
dispiace perché propugno Hans Tuzzi fin dai tempi. Ho letto tutto quello che ha
scritto come Hans Tuzzi, che è il suo pseudonimo, e mi è piaciuto tutto. Da questo libro mi aspettavo molto, a partire
dal titolo, per vedere come faceva entrare nella storia il trio di Beethoven, e
se almeno lui riusciva a superare lo scoglio della musica nei romanzi. Poi l’ambientazione, Adriatico del nordest,
Sarajevo, Belgrado, Istanbul, la vecchia linea dell’Orient Express, tutti posti
rovinati che stanno in piedi da soli, a trattarli bene. Invece ho dovuto cedere
a pag. 124 perché non capivo più dov’ero e con chi. Credevo di essere a
Belgrado ma ho mi sono resa conto che ero a Istanbul dal nome degli alberghi, e
sorvolo sui personaggi, non capivo più se erano vivi o morti. E Trieste
liquidata via con quel po’ di food&beverage del rebechìn, della porzìna e del vino del Carso. Next.
Giuseppe Pederiali, Il
ponte delle sirenette
Garzanti,
2011, pp. 384
Categoria:
romanzo di città
Per
me, che sono milanese, un bel libro. Ci sono le stelline, i martinitt, le sorelle Ghisini ovvero le
sirenette del ponte, il poeta Delio Tessa, i bombardamenti, un po’ di ligéra, Musocco, il manicomio di
Mombello, i casini dei ricchi e quelli dei poveri. La storia di una ex-stellina
che diventa amica di Delio Tessa è una buona traccia per ricostruire
cinquant’anni di vita milanese, dagli anni venti agli anni sessanta del Santa
Tecla e del Piccolo Teatro Grassi/Strehler.
Luglio 2014
Fabio Genovesi, Esche
vive
Mondadori,
2011, pp. 388
Categoria:
provincia minima
Letto
fino a pag. 170
L’autore
aveva trentasette anni al momento della pubblicazione, entra quindi di diritto
nella categoria “provincia minima”, ovvero giovani che scrivono storie da
pensionati. Questa era particolarmente lunga, 388 pagine scritte in piccolo.
Giunta a pag. 170 mi
sono guardata attorno: avevo per le mani un diciottenne monco e orfano di madre
che mette in piedi una storia con una di trentadue anni che lavora all’
Informagiovani, frequentato però esclusivamente da
omarelli. Egli vive fuori casa perché uno di quindici anni, promessa del
ciclismo, ha occupato la sua cameretta. Il suo babbo è l’allenatore di quello
di quindici anni. In un paesino toscano
in provincia di Pisa. Di contorno c’è la band metal di cui il monco è il
cantante e numerosi vecchietti che
leggono il giornale locale a sbafo. L’avrei finito forse se fossi stata di
Muglione, il teatro degli eventi. O una
parente dell’autore, che però non è malaccio, se solo si trovasse altre storie.
Louise Doughty, Fino in fondo
Bollati
Boringhieri, 2014, pp. 392
Categoria:
romanzo
Di
questi tempi è un bel romanzo. C’è una
storia che funziona con una protagonista
non proprio simpatica, ma alla quale ci si affeziona perché è una donna
intelligente che finisce nei guai fino al collo, ma con cognizione, non da
perfetta cretina, come al solito.
Il
romanzo, un thriller giudiziario, ha i suoi problemi. Ad esempio l’autrice
tende a raccontare numerose volte lo stesso evento, sempre allo stesso modo. Se
ti dice la prima volta che due hanno fatto l’amore su un materasso con il
piumino arrotolato in fondo ai piedi puoi star certo che, ogni volta che
riprenderà l’episodio, ripeterà che il piumino era arrotolato in fondo ai
piedi. E’ un po’ come quei fini narratori che ti raccontano dieci volte lo
stesso aneddoto e tu non sai come avvertirli che lo sai già. E’ anche il tipo
che ti dice sempre come sono vestiti i personaggi, anche i più insignificanti,
scarpe e calze comprese. Anche quello che mangiano e che bevono. A forza di
ripetizioni e di capi d’abbigliamento fai presto ad arrivare a 392 pagine
scritte in piccolo. Personalmente ne avrei tagliate un terzo. Alcuni passaggi
sono veramente notevoli, ad esempio quello che descrive con chiarezza come reagisce il nostro cervello di
fronte al pericolo.
Comunque
è un libro che si inizia e si finisce. Non proprio cotto e mangiato ma quasi.
Nataša Dragnić, Ogni
giorno, ogni ora
Feltrinelli,
2011, pp. 220
Categoria:
storronata fin da piccola
Letto
fino a pag. 26
Si
sa che qualsiasi racconto che cominci
con la frase “fin da piccolo/a” è morto sul nascere. Figurarsi un romanzo che
descrive una storia d’amore che inizia all’asilo: lei due anni e lui cinque.
Una asfissia. Peccato perché la storia, a leggerla tutta, si sarebbe svolta a
Makarska nei primi anni sessanta, bella
ambientazione adriatica. Però, per il poco che ho letto, avrebbe anche potuto
svolgersi a Gatteo Mare (the dark side of
the sea) e sarebbe stato lo stesso.
Per dire come Dragnić crea un’atmosfera. Ho interrotto la lettura dopo la
seguente frase: La faccia di Dora è
vicinissima, i suoi occhi neri sono grossi come quei due piatti di pizza che ha
visto qualche tempo prima al ristorante Plaža. La forza della metafora.
Elisabetta Rasy, Non
esistono cose lontane
Mondadori,
2014, pp. 252 (playlist compresa)
Categoria:
romanzo
Letto
di fila fino a pag. 128, poi a smozzichi, fino a pag. 196, poi basta.
Volevo
smettere dopo una decina di pagine, ma una digressione sui fotoromanzi, molto
bella, mi ha tenuta viva. Inoltre non mi dispiacevano i protagonisti: Olga, una maestra elementare
ed Ettore, un musicologo, amore diseguale con lei che ci rimette, ovviamente.
Il problema è insorto quando, su questa storia principale, già un po’ faticosa,
l’autrice ha inserito un mattone di sottostoria basata su: soldato americano e ragazza locale si
amano/ma lui arrivederci e grazie. Ho zompato qua e là per un altro centinaio
di pagine, più che altro per vedere se la protagonista riusciva a finire di leggere La duchessa di Langeais. Faceva un po’ fatica, dice che la storia non
le piaceva. Poi mi sono bloccata ad un funerale clandestino dove una ragazza giovane, personaggio di contorno,
cantava Lascia ch’io pianga. Lì ho deciso che poteva bastare. La playlist
prodotta alla fine contiene pezzi molto belli, e che stanno
abbastanza bene nel contesto. Mi sembra che a Rasy sia riuscita bene la cosa
più difficile, metterci la musica, poi però mi è caduta sui fondamentali.
Honoré de Balzac, La duchessa di Langeais. Caposaldo. Capolavoro ineguagliato del sottogenere
amori differiti, per i quali ho un culto.
Edgar Morin, La mia
Parigi, i miei ricordi
Raffaello
Cortina Editore, 2013, pp. 241
Categoria:
memorie
Letto
fino a pag. 170
L’ho
scelto perché mi piacciono le città e i libri che le descrivono. Qui si tratta
di Parigi, che appare per meno del 5% della storia in quanto se stessa, per il resto
è una pura appendice dell’ego dell’autore. C’è una
discreta descrizione del quartiere di Mènilmontant, in cui Morin è nato, ed una
dedicata al vecchio Marais e alle Halles, prima e dopo lo sventramento.
Il
restante 95% è la storia della sua vita e delle sue donne, nonché un vortice di
nomi di persone che si vedono, si incontrano e in quattro e quattr’otto si
inventano un centro, una associazione, un organismo, gli mettono una sigla e ci
campano. Génial, come dicono loro, i francesi. Di una noia mortale, come dico io, che
abbandono a pag. 170. E pensare che avevo avuto il coraggio di continuare anche
dopo la seguente frase di pag. 140,
a proposito del suo incontro con una sociologa torinese
di nome Magda: Ci diamo appuntamento a Lione, dove la conduco alla confluenza del
Rodano e della Saona, ed è là che noi confluimmo in corpo e spirito.
Jeanette Winterson, Il
cancello del crepuscolo
Mondadori,
2014, pp. 150
Categoria:
romanzo storico
Letto
fino a pag.34
I
romanzi storici scritti ai giorni nostri sono un mattone. Ho provato a portarmi
a casa questo perché tratta della caccia alle streghe, argomento per me
toccante, soprattutto dopo la lettura, più di trent’anni fa, di un bel romanzo
di Erica Jong, Fanny.
Ho
smesso a pagina 34, sopraffatta dalle decine di nomi e cognomi cui non
corrispondevano dei personaggi, dalla localizzazione imprecisa, dalla solita
violenza splatter puzzona e repellente in ouverture,
fango/sangue/sperma/sudiciume/brandelli di carne, dalla fatica di tornare
sempre indietro a vedere chi era XY, se c’era già stato o se era nuovo.
Soprattutto, giunta a pagina 25,
mi sembrava di aver letto già un centinaio di pagine:
per dire quanto scorre il testo.
Inizia
in un pantano e lì ci resta, almeno per quel che mi riguarda.
Erica Jong, Fanny, 1980 Romanzo di compagnia, amico nei lunghi viaggi.
Robert Macfarlane, Le
antiche vie Un elogio del camminare
Einaudi,
2013, pp. 408
Categoria:
manuale di geografia concreta
Macfarlane
ha il dono della scrittura chiara ed essenziale. Non rifarei tutte le vie che ha attraversato,
spesso in condizioni estreme. Ma la sua descrizione della Broomway, una via effimera che si trova sotto la marea a nord
dell’estuario del Tamigi, mi ha lasciato un desiderio pauroso di andarci.
Fabio Deotto, Condominio
R39
Einaudi
Stile Libero Big, 2014, pp. 444
Categoria:
giallo (lo deduco dal fatto che c’è un commissario)
Letto
fino a pag. 134
C’è
la preparazione di un tè che inizia verso pag. 80 e a pag. 120 apprendo che
forse qualcuno ha messo su l’acqua. Nel mezzo ci sono altri fatti perché l’idea è
quella di sviluppare quattro storie intrecciate in un condominio di quattro
alloggi, cui si aggiunge la quinta del
commissario Pallino. Siccome è difficile e Deotto non è in prima istanza
Georges Perec (gestione condominio), e in seconda neppure David Foster Wallace
(gestione tè eterno), va a finire che per portare avanti le cinque baracche
l’autore è costretto ogni volta a dirci dove siamo e con chi siamo. Ho
resistito fino alla fase presentazione e inquadramento dei personaggi poi, sugli
inizi degli sviluppi, ho ceduto: nessuna credibilità né verosimile né
romanzesca, per cui, dal mio punto di vista, nessun interesse.
E’ il terzo cotto e mangiato di fila di Pallavicini, metà
prof di chimica all’università di Pavia e metà romanziere (riuscito).
David Foster Wallace, Infinite Jest, 1996. Suprema prova di perizia dello scrivere e repertorio di virtuosismo
che, in quanto tale, desta la mia fredda ammirazione e la mia totale
indifferenza.
George Perec, La vita istruzioni per l’uso, 1978. Mi inginocchio di fronte alla sublime, apparente inutilità di questa
costruzione della mente umana.
Piersandro Pallavicini, Una commedia
italiana
Feltrinelli,
2014, pp. 309
Categoria: cotto e mangiato
Questo è un romanzo abbastanza complesso perché allinea
diverse epoche (gli anni sessanta/settanta/ottanta) e diversi prototipi sociali
del periodo: l’industrialotto lombardo u ganassa, il primogenito maschio viziato e inetto, la sorella pratica e studiosa
che lo surclassa in tutto, l'amica fedele che conta più della famiglia. C’è tanta musica molto pertinente: il libro è anche
un inno al rock progressivo, i cui esponenti maggiori, medi, minori e infimi
accompagnano tutto il racconto. Un esperto di progressive qui si diverte. E gode
quando, in due o tre pagine ben riuscite, si demolisce il mito dei Deep Purple,
precipui miracolati del rock grazie ai quindici secondi iniziali di Smoke on the Water. Il romanzo è
anche una summa commossa e appassionata della commedia all’italiana di serie A2/B1. Nonostante tutto questo
guardarsi indietro, per altro molto ben documentato, la storia funziona anche
per chi, per età o diversa appartenenza sociale o geografica, non colga tutte
le allusioni.
Valerio Nardoni, Capelli blu
edizioni e/o, 2012, pp. 131
(comprese tre pagine di ringraziamenti finali)
Abbandonato a pag. 21
Non l’avrei mai raccolto dal tavolo delle novità della
biblio se non fosse stato per la seguente quarta di copertina: Immaginate Paolo Conte che incontra i
fratelli Cohen in una città italiana che pare la Brooklyn di Smoke.
Urka, tutti insieme i santini dell’estetica di quelli
“… te l'ho detto giro, vedo ggènte,
mi muovo, conosco, faccio delle cose…”. Alla lettura riscontro una certa
difficoltà con i tempi verbali, ora al passato prossimo, ora al passato remoto anche all'interno della stessa azione.
In più appare presto una donna che è per terra tra due macchine con degli
stivali bianchi. Mi fermo a pensare da quanto tempo non vedo in giro una con degli
stivali bianchi, a parte majorette e
cheer-leader, e comincio a vacillare. Quando poi il protagonista la raccoglie
moribonda dalla strada (e chiamare il
118?) per portarsela a casa e lì constatarne il decesso decido che ne ho abbastanza.
Ho scoperto che, in linea generale, la quantità di ringraziamenti finali è
inversamente proporzionale alla qualità dello scritto.
Grazia Verasani, Cosa sai della notte
Feltrinelli, 2012,
pp. 223
Categoria: giallo Bologna
Seguo l’investigatrice di Bologna Giorgia Cantini dall’inizio,
e mi è persino quasi piaciuta la
versione telefilm, dove la Cantini/Baraldi cantava spesso. Qui non canta più, e
ha un po’ modificato il suo habitat. Ha una nuova assistente che si chiama
Genzianella, personaggio a zero credibilità ma molto divertente. Ha perso il
vicino cuoco dilettante ed ex-pornostar e ama ancora l’odioso Commissario
Bruni, che la maltratta in tutti i modi. La storia riguarda l’assassinio di un
ragazzo gay, con tutti i prevedibili annessi e connessi. Che sono appunto
prevedibili, ma ho finito la storia ugualmente perché sono un po’ affezionata alla
Cantini. Nell’inevitabile excursus sulla cultura gay si cita un testo
fondamentale del 1977, pubblicato prima da Einaudi e poi da Feltrinelli, Elementi di critica omosessuale di Mario
Mieli, che qui però diventa Mauro Mieli, una specie di simbiosi tra un direttore
della Repubblica e un altro del Corriere della Sera. Per piacere, provvedete ad una correzione, sempre che
seguano ristampe.
Joseph O’ Connor, Dove sei stato?
Guanda, 2014, pp. 312
Categoria: racconti
Letto fino a pag. 166
Come antologia della sfiga all’irlandese può andare.
Scritto con cura, i personaggi sono ben delineati, gli ambienti un po’ meno, i
dialoghi credibili, c’è molta attenzione alla situazione economica e sociale
dei vari periodi descritti. Il problema è che alla sesta storia consecutiva imperniata
sulle disgrazie non se ne può più. Non è
che se uno scrive di disgrazie fa più bella figura. Mi sembra poi che il mondo
irlandese non comprenda solo il pianto, anzi, mi vengono in mente un bel po’ di
situazioni comiche se penso all’Irlanda. Forse ho sbagliato a fermarmi a pag.
166, magari se andavo avanti trovavo la parte buffa. Comunque a quel punto ero
sfinita da tutti questi dolori, benché altrui, e anche un po’ annoiata dall’umore tetro. Alla prossima.
Jonathan Coe, Expo 58
Feltrinelli, 2013, pp. 280
Categoria: romanzo
Letto fino a pag. 103
Non è che mi trovi sempre bene con Coe. Sono molto
affezionata al suo primo libro, La famiglia Winshaw (1995), e per questo ogni
tanto ne provo qualcun altro, senza però rivivere la passione della prima volta.
Questo promette molto, soprattutto per un paio di dialoghi molto brillanti nelle
prime pagine. Poi la storia, di spie, con al centro un buon ragazzo solo un po’
più accorto di Forrest Gump, comincia ad appesantirsi di situazioni e personaggi
molto artificiali, e perde di interesse.