I
libri della COOP
Nella
mia città, Forlì, si possono portare i libri vecchi, o già letti, nei vari
punti vendita della COOP.
Io
ne porto parecchi, soprattutto libri nuovi che si sono rivelati acquisti
sbagliati, regali malriusciti, doppioni, gialli anni sessanta, libri per
bambini senza i maghi e le streghe, ma anche libri divertenti, letti e
prestati, ma non abbastanza buoni da
essere conservati in libreria.
Una
volta arrivati alla COOP, una responsabile li prende e li marca a fuoco con una
fascetta rossa autoadesiva con su scritto: raccoglimi,
portami via con la spesa e riportami qui per una altro lettore.
La
fascetta è deturpante, e viene applicata in modo indiscriminato sia sugli
Harmony biascicati e raddoppiati di volume a forza di essere letti che su
edizioni molto preziose. Qualche mese fa sono riuscita a salvare dalla fascetta
una sesta edizione (Feltrinelli, 1962) del Ponte
della Ghisolfa di Giovanni Testori, libro
che adesso tengo in casa. Ogni
volta che lo guardo mi ricordo di quando (1970) l’ho preso in prestito la prima
volta dalla biblioteca comunale di Piazzale Accursio a Milano, molto vicina al
ponte del titolo, e anche
dell’importanza di Giovanni Testori per
la cultura milanese degli anni sessanta/settanta.
Un
altro volume prezioso, però deturpato in modo irrimediabile dalla fascetta
rossa, è una seconda edizione de Il
Colombre e altri cinquanta racconti
di Dino Buzzati, Mondadori, Opere di Dino Buzzati, VI, 1966. Il peggio è che la
fascetta assassina ha rovinato in modo irrimediabile (non si stacca neppure con
il vapore) la copertina, che rappresenta un disegno dello stesso Buzzati. Lo
sto tenendo da un bel po’, non ho il coraggio di riportarlo fuori al freddo,
anche perché ogni tanto leggo un racconto a caso, ed è sempre una grande gioia.
Dallo stato di conservazione è un libro senz’altro letto dall’inizio alla fine,
probabilmente da più di una persona.
Il
Club degli Editori è molto presente alla COOP. Idea editoriale benemerita, il
Club degli Editori ci ha fatto leggere, a basso prezzo ma rilegati, dozzine di
libri di successo, dagli anni Sessanta in poi. Certo si preferiva un
bell’Einaudi con sovracopertina bianco latte e rilegatura grigia, ma i prezzi
concorrenziali e la vendita per posta rendevano i CDE molto popolari e diffusi.
Qualche tempo fa ho pescato Il porto di
Toledo di Anna Maria Ortese. Non l’ho ancora letto, per cui riposa su uno scaffale/limbo in attesa del
suo momento. Il volume è intonso.
Ogni
tanto la COOP resuscita un desaparecido, qualche settimana fa è comparso un
fantasma del passato: Marulanda La dimora di campagna, di José Donoso,
Feltrinelli, 1985, I Narratori, prima edizione. Donoso venne fuori insieme ad
altri romanzieri sudamericani sull’onda di Cent’anni
di solitudine. Ai tempi si
stampava di tutto, e anche di molto buono, purché provenisse dal sur. Il volume è intonso, il che non è
mai incoraggiante. Personalmente ho un
rapporto conflittuale con gli scrittori sudamericani, non credo che lo leggerò,
ma vorrei dargli una degna collocazione, anche perché la fascetta sembra
staccabile senza danni, sebbene con molto vapore.
Le
mie estati sarebbero state molto più pesanti senza i Pocket Longanesi, collana
anni sessanta mai abbastanza lodata. Penso che in tutte le case italiane siano
passati almeno una volta I peccati di
Peyton Place e La luna
e sei soldi. Io ricordo anche Gli
amanti di Evan Hunter, che si rivelò essere la stessa macchina da
libri dell’ 87° distretto sotto il nome di Ed McBain. Poi La Parmigiana di Bruna Piatti, pubblicato sull’onda del successo
del film di Antonio Pietrangeli (o
viceversa?), e molti libri di Giovanni Comisso, autore che ho molto seguito
negli anni Settanta.I pocket che capitano sugli scaffali della COOP sono
sfiniti dalle ripetute letture. Troppe volte ho trovato Peyton Place e l’ho sempre lasciato lì, è giusto che venga letto il
più possibile. La settimana scorsa ho raccattato Diario d’amore di Maud Hutchins (1889-1991), raccolto e non ancora
letto, ma lo farò senz’altro perché ho
un culto per le scrittrici americane nate tra la fine dell’ottocento e i primi
del novecento.
Ho
beccato anche La vita perduta di Elio
Chinol, che per me doveva essere solo un prof d’inglese nominato spesso da mia
sorella quando studiava lingue alla Bocconi. Invece ha scritto anche questo
romanzo su Treviso, presentato dai pocket come Un Amarcord veneto, ai tempi (1974) in cui il film di Fellini era
uscito da poco.
Altra
collana benemerita, uscita negli anni Sessanta praticamente assieme agli Oscar
Mondadori, è I Garzanti per Tutti, con la sua evoluzione successiva, I
Garzanti. Il primo Garzanti per Tutti mi risulta essere La paga del soldato di William Faulkner,
degno antagonista del primo Oscar Mondadori,
Addio alle armi di Ernest
Hemingway.
L’anno
è il 1965, e da allora comprare libri diventa un affare molto semplice: si
trovano ovunque, anche in edicola, e costano poco. Ho sempre preferito I
Garzanti, che facevano un po’ la figura dei Rolling Stones rispetto ai Beatles.
Sarà perchè il mio primo Garzanti economico è stato Il cardinale di Henry Morton Robinson, mappazzone cattoamericano di
sei/settecento pagine scritte in piccolo, divorato in pochi pomeriggi perché ai
tempi facevo le medie e alla sera crollavo tramortita dal sonno poco dopo le
nove.
Per
trovare un Oscar di pari impatto devo andare avanti di un paio anni fino a La buona terra di Pearl S. Buck, frequente
sugli scaffali COOP, sempre in cattive condizioni perché letto e riletto.
Ho
un ricordo molto chiaro di mia cugina che si addormentava al sole con una copia
de Il sole nel ventre (Jean Hougron, 1952) appoggiato sulla pancia. Picture in picture. Lei era molto presa
da questo romanzo, io l’ho trovato qualche settimana fa alla COOP ma, ora come
allora, non mi fa sangue e l’ho
riportato indietro senza leggerlo.