Francesco Maino Cartongesso
Einaudi, 2014, pp. 243
E’ un libro elegante
già dalla copertina, una foto a colori della Punta della Salute a Venezia
talmente smunta da sembrare in bianco e nero. E’ scritto in una lingua mista: italiano, saltuario ma eccellente, veneto del
Basso Piave e “grezzo”, ovvero una koinè che non è più dialetto ma un misto di
metaveneto e metaitaliano dalla sintassi men che elementare. L’assunto è che il
cartongesso, misero espediente di uso tanto rapido quanto mortificante, abbia
sostituito i “materiali” e la loro forza intrinseca. Il cartongesso, così falso
e provvisorio, è il simbolo della
decadenza estetica e morale di una regione. E’ evidente che l’autore è un eccentrico, discendente da una genìa veneta mista e interclassista
dedita all’estro, al buon gusto, all’originalità, all’accostamento insolito e
incongruente ma geniale. Alcuni hanno visto nel suo libro un’invettiva,
personalmente lo intendo come un compianto o meglio, data la sua disperata
dimensione individuale, come un lamento sul trionfo delle bruttezze.