Daniela Ranieri Mille
esempi di cani smarriti Ponte alle Grazie,
2015, pp.540
Letto fino a pag. 400, poi qua e là
fino alla fine
Un nucleo di terrazzati romani viene descritto con abbondanza di
parole e figure retoriche. La ridondanza, che in genere suscita repulsione, qui
invece si rivela adatta a riprodurre il cazzeggio dei riuniti intorno a un
tavolone di marmo ruvido, già appartenuto al nonno della padrona di casa che al
momento festeggia un compleanno tra i 55 e i 60. La cronaca della serata viene scandita quasi
al minuto, con un rendiconto preciso degli argomenti di cui si conversa: Venezia
(argomento spinoso, ci si tiene a fatica un po’ sopra la linea dei luoghi
comuni), la dieta vegetariana (magistrale) e lo yogurt di latte intero (breve trattato di sociologia dei cazzoni alimentari),
i cani, la corretta conservazione della mozzarella, le origini del nazismo e la
sublime qualità delle immagini di Leni Riefenstahl (questo verso il tardi) e
alla via così. Daniela Ranieri usa migliaia di parole, un rapporto direi di 5/1
rispetto a uno scrittore qualsiasi, e un numero imprecisato di riferimenti che,
per principio, non devono essere scontati. Dispiace allora vedere un venditore
di cavallette fritte scelto come simbolo di Bangkok, e trovare Gesualdo da
Venosa citato, al solito, più in qualità di assassino della moglie che di
sperimentatore musicale. Su questo filone principale di antropologia urbana de
sinistra si innesta la storia di due ragazze figlie e figliastre della
terrazza. Qui purtroppo l’interesse cade progressivamente, anche perché lo
stile ricco di variazioni, abbellimenti, cadenze, riprese, volatine, gruppetti,
acciaccature, trilli e puntature non
quaglia con le vicende di due liceali, poi universitarie, poi in cerca di prima
occupazione, poi di identità, poi del padre perduto, che poi una è ricca e
bionda e l’altra è misera e bruna, benché entrambe bellissime, forse anche
troppo. Per questo da pagina 400 in poi
ho saltato molto. Però fino a quel punto mi sono divertita, e parecchio.