martedì 30 giugno 2015

Mille esempi di cani smarriti



Daniela Ranieri  Mille esempi di cani smarriti  Ponte alle Grazie, 2015, pp.540
Letto fino a pag. 400, poi qua e là fino alla fine



Un nucleo di terrazzati romani viene descritto con abbondanza di parole e figure retoriche. La ridondanza, che in genere suscita repulsione, qui invece si rivela adatta a riprodurre il cazzeggio dei riuniti intorno a un tavolone di marmo ruvido, già appartenuto al nonno della padrona di casa che al momento festeggia un compleanno tra i 55 e i 60.  La cronaca della serata viene scandita quasi al minuto, con un rendiconto preciso degli argomenti di cui si conversa: Venezia (argomento spinoso, ci si tiene a fatica un po’ sopra la linea dei luoghi comuni), la dieta vegetariana (magistrale) e lo yogurt di latte intero (breve  trattato di sociologia dei cazzoni alimentari), i cani, la corretta conservazione della mozzarella, le origini del nazismo e la sublime qualità delle immagini di Leni Riefenstahl (questo verso il tardi) e alla via così. Daniela Ranieri usa migliaia di parole, un rapporto direi di 5/1 rispetto a uno scrittore qualsiasi, e un numero imprecisato di riferimenti che, per principio, non devono essere scontati. Dispiace allora vedere un venditore di cavallette fritte scelto come simbolo di Bangkok, e trovare Gesualdo da Venosa citato, al solito, più in qualità di assassino della moglie che di sperimentatore musicale. Su questo filone principale di antropologia urbana de sinistra si innesta la storia di due ragazze figlie e figliastre della terrazza. Qui purtroppo l’interesse cade progressivamente, anche perché lo stile ricco di variazioni, abbellimenti, cadenze, riprese, volatine, gruppetti, acciaccature, trilli e puntature  non quaglia con le vicende di due liceali, poi universitarie, poi in cerca di prima occupazione, poi di identità, poi del padre perduto, che poi una è ricca e bionda e l’altra è misera e bruna, benché entrambe bellissime, forse anche troppo.  Per questo da pagina 400 in poi ho saltato molto. Però fino a quel punto mi sono divertita, e parecchio.

Fuoco sacro



Kindertotenliber di giugno

Stefano Pistolini  Fuoco sacro  elliot  2015 pp.188
Letto fino a pag. 17

Ho un istintivo rifiuto verso chi si interessa, gira, vede ggente (cfr. Ecce Bombo, Nanni Moretti, 1978). Qui siamo a Roma, anni settanta, in una festa di strafatti con un milanese di quarta liceo che perde la verginità in una Pallas che gli ha lasciato come rifugio per la notte un signore che l’aveva preso su in autostop. In pratica la sagra del fricchettone inconcludente.  Più avanti scopro che l’incalzante incipit è teso a dimostrare la necessità che  il protagonista ha di trovare Marco, suo compagno di avventure anni settanta che era con lui a Roma (ma non nella Pallas) nella fattispecie dell’inizio,  che però è sparito e introvabile. Ai nostri tempi. Figurarsi. Ci lasciamo così, senza rancore, e con profondo rispetto per lo scomparso Marco che riesce a rendersi irreperibile in tempi di social.